Che cos’è la Cancel Culture
Che cos’è la Cancel Culture: la locuzione cancel culture è usata per indicare una forma moderna di ostracismo nella quale qualcuno diviene oggetto di proteste e di conseguenza estromesso da cerchie sociali o professionali – sia online sui social media, che nel mondo reale, o in entrambi.

Che cos’è la Cancel Culture
Il termine si è diffuso dal cosiddetto Black Twitter, una comunità informale su Twitter composta per lo più da utenti afroamericani, attiva da almeno il 2009 e che trae le sue origini dal Movimento Me Too del 2006. Tale temine definiva inizialmente lo “smettere di dare supporto a una determinata persona” con mezzi come il “boicottaggio” o la “mancata promozione” delle sue attività. Ciò nel tentativo di danneggiare anche economicamente quella persona, giudicata moralmente o socialmente deprecabile.
Questo termine però prese una risonanza mondiale nel 2020 a seguito della morte di George Floyd ad opera di un poliziotto del Minnesota e si accostò al movimento Lives Black Matter.
Iniziò così un vero e proprio revisionismo storico della cultura che investì tutti i campi dell’intelletto. Molte opere d’arte furono tacciate di perpetrare stereotipi razzisti, sessisti e omofobi.
Furono attaccate e prese di mira le sculture di personaggi storico:
In America circa trenta statue di Colombo sono state vandalizzate, abbattute o rimosse.
Altre statue di colonizzatori fecero la stessa fine. La protesta arrivò fino in Italia dove fu vandalizzata la statua del giornalista Indro Montanelli.
Gli intellettuali e la Cancel Culture
Molti intellettuali come Noam Chomsky, J k Rowling e tanti altri si schierarono contro il movimento della Cancel Culture per lanciare un avvertimento sui pericoli di “una nuova serie di standard morali e schieramenti politici che tendono a indebolire il dibattito aperto in favore del conformismo ideologi
I firmatari della lettera sono oltre 150, e comprendono scrittori come
- Martin Amis, J.K.
- Rowling,
- Margaret Atwood e
- Salman Rushdie,
- giornalisti e opinionisti come David Brooks,
- Anne Applebaum
- George Packer,
- Noam Chomsky
- Francis Fukuyama,
- la storica attivista femminista Gloria Steinem
- lo scacchista Garry Kasparov e
- il jazzista Wynton Marsalis.
La Lettera degli Intellettuali
Le nostre istituzioni culturali sono sotto processo. Le grandi proteste contro il razzismo e per la giustizia sociale stanno portando avanti sacrosante richieste di riforma della polizia, insieme a più ampie rivendicazioni per maggiori equità e inclusività nella nostra società, compresa l’università, il giornalismo, la filantropia e le arti.
Ma questa necessaria presa di coscienza ha anche intensificato una nuova serie di atteggiamenti moralisti e impegni politici che tendono a indebolire il dibattito pubblico e la tolleranza per le differenze, a favore del conformismo ideologico. Mentre ci rallegriamo per il primo sviluppo, ci pronunciamo contro il secondo.[…..]
Lo scambio libero di informazioni e idee, la linfa vitale di una società liberale, viene soffocato ogni giorno di più. Se abbiamo imparato ad aspettarcelo dalla destra radicale, la tendenza alla censura si sta diffondendo anche nella nostra cultura: un’intolleranza per le opinioni diverse, l’abitudine alla gogna pubblica e all’ostracismo, e la tendenza a risolvere complesse questioni politiche con una vincolante certezza morale.
Questa atmosfera opprimente finirà per danneggiare le cause più importanti dei nostri tempi. I limiti al dibattito, che dipendano da un governo repressivo o da una società intollerante, finiscono ugualmente per fare del male di più a chi non ha potere, e rendono tutti meno capaci di partecipare alla democrazia.
Il modo di sconfiggere le idee sbagliate è mettendole in luce, discutendone, criticandole e convincendo gli altri, non cercando di metterle a tacere. Rifiutiamo di dover scegliere tra giustizia e libertà, che non possono esistere l’una senza l’altra.
Come scrittori, abbiamo bisogno di una cultura che lasci spazio alla sperimentazione, all’assunzione di rischi, e anche agli errori. Dobbiamo preservare la possibilità di essere in disaccordo in buona fede, senza timore di catastrofiche conseguenze professionali. Se non difendiamo quello da cui dipende il nostro lavoro, non possiamo aspettarci che lo faccia il pubblico o lo stato.
Cancel Culture e Cinema
il cinema non è uscito indenne dall’onda furibonda dalla Cancel Culture.
Uno dei film che è stato preso di mira fu Un classico del 1939 Via col vento.
Per chi non lo avesse visto Via col vento è un colossal di tre ore ambientato all’alba della guerra civile americana in una famiglia della Georgia proprietaria terriera di piantagione di cotone-
Il film, che adotta pienamente il punto di vista degli schiavisti degli stati del Sud ai tempi della Guerra di Secessione, è espressione della cultura segregazionista americana della prima metà del Novecento, risultando quindi ampiamente basato su stereotipi razzisti, particolarmente evidenti nella rappresentazione degli afroamericani (nei loro modi, nei loro atteggiamenti, nel loro linguaggio). In via col vento non ci sono solo stereotipi razzisti, anche la figura della donna è chiaramente dipinta secondo lo sguardo dell’epoca.
In molti ricorderanno anche solo il personaggio della cameriera di casa O’Hara, Mami che anche nel doppiaggio italiano mantiene questa inflessione con le p che diventano b e le t che diventano d.
Ad ogni modo a distanza di 80 anni le polemiche della Cancel Culture che investirono il film hanno costretto la HBO a toglierlo dal catalogo.
Nel 2017 un cinema di Memphis (Tennessee) cancellò il titolo dal proprio cartellone perché il film venne giudicato insensibile verso la popolazione del luogo.
In una dichiarazione
Un portavoce della HBO ha spiegato al sito di Variety che la pellicola è “un film del suo tempo e che raffigura alcuni pregiudizi etnici e razziali che erano, disgraziatamente, dati per assodati nella società americana. Queste descrizioni razziste erano sbagliate allora come ora e abbiamo pensato che mantenere questo titolo senza una spiegazione e una denuncia di quelle descrizioni sarebbe stato irresponsabile”.
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